Tappa per tappa, tutte le "tegole" che si sono abbattute sull’auto

2022-05-13 03:55:59 By : Ms. Jenny Yuan

L’industria dell’automobile è scossa alle fondamenta e anche il tetto non è in buone condizioni. Anzi le sue tegole, da qualche anno a questa parte, stanno cadendo una dopo l’altra ponendo a manager, organizzazioni e a chi le automobili le acquista (automobilisti, aziende, istituzioni, società di noleggio e mobilità, etc) una lunga serie di problemi da affrontare e che si intrecciano moltiplicando i nessi causa-effetto. Vediamo quali sono queste tegole, una per una.

La prima è la pandemia. A partire da marzo 2019 il covid-19 ha fermato le fabbriche (almeno inizialmente per questa ragione) e le reti di vendita sul territorio. Case e concessionari hanno dovuto parare l’azzeramento di vendite e interventi di assistenza e, una volta usciti dal lockdown totale, organizzare le contromosse. La reazione è stata quanto mai pronta e può essere riassunta in una sola parola: smaterializzazione.

La smaterializzazione è l’altra faccia della digitalizzazione. L’impossibilità, la difficoltà o anche il timore di avere un contatto fisico nei saloni ha spinto costruttori e concessionari verso la creazione di nuove procedure che permettono di gestire il processo di vendita a distanza, dall’inizio della trattativa fino alla firma del contratto. È l’anticamera della vendita online? Sicuramente ne è un acceleratore. L’idea dell’automobile come sogno di status e libertà da accarezzare prima che diventi realtà è sempre più un’immagine del passato.

Cambia il ruolo delle reti, ma anche delle professionalità richieste e del tenore di umanità. Più che luoghi di esposizione e venditori a fare preventivi dietro alla scrivania, sono necessari consulenti al telefono e in numero maggiore di prima. E servono anche per mostrare l’auto in videoconferenza e gestire gli appuntamenti in concessionaria e per i tagliandi, magari con servizio di presa e consegna. In poche parole: per vendere e assistere automobili potrebbero servire meno passaggi, ma sono necessarie più persone.

Una mano alla ripresa temporanea del mercato l’hanno dato gli incentivi in campo già dal 2019, ma la loro gestione non è stata ottimale. L’andirivieni della disponibilità dei fondi e delle notizie ha fatto e sta facendo andare le vendite a singhiozzo creando attese che influiscono non poco sul calo delle immatricolazioni. Anche la gestione dei fondi da parte delle reti di vendita ha suscitato più di una perplessità. Non sarebbe allora il caso di trasformarli in crediti di imposta che il cliente finale può scegliere di tenere per sé o cedere come avviene per le ristrutturazioni edilizie o le opere di efficientamento energetico?

L’altra tegola grossa è caduta sulle società di noleggio a breve e, soprattutto, di car sharing. L’auto condivisa non è esattamente il massimo per tutelarsi dai contagi. Con il crollo del turismo, i cosiddetti canali airport e leisure si sono azzerati per lungo periodo. Viceversa hanno ripreso quota i canali city e business la cui incidenza era in perenne contrazione da anni. Ad andar forte sono soprattutto i mezzi commerciali leggeri, a sostegno sia degli operatori sanitari sia soprattutto dell’impennata dell’e-commerce.

La ben motivata diffidenza per i mezzi condivisi e pubblici ha ridato spinta all’uso privato dell’autovettura con una conseguenza: l’aumento del traffico. La seconda conseguenza è l’impennata della mobilità alternativa: vedi bici con o senza pedalata assistita e monopattini. Con tutte le implicazioni del caso per la sicurezza e il quadro delle regole che, in pratica, non esistevano. Anche qui le tegole sono arrivate ed è stato necessario correre, ma si sono create anche aperte nuove opportunità di business.

Altra tegola, ancora in bilico, è rappresentata dalle nuove normative europee. L’Euro 7 è ancora in via di definizione e la proposta della Commissione Europea per fermare la vendita di auto dotate di motore a combustione interna entro il 2035 è ancora in fase di discussione. Se entrambe i provvedimenti dovessero avere la forma più restrittiva ipotizzata, la spinta verso la transizione energetica sarebbe ancora più forte. L’evoluzione del mercato verso l’ibrido, l’ibrido plug-in e l’elettrico sono già in atto.

Una tegola arrivata già direttamente in testa agli automobilisti è invece il prezzo del metano. Trovarsi improvvisamente con un costo alla pompa raddoppiato e 1,1 milioni di mezzi circolanti, idealmente accartocciati nel loro valore residuo sono un bel problema per le famiglie, ma non solo. La nostra industria dell’estrazione può fare nell’immediato tanto denaro inaspettato, ma ha il problema di riconvertirsi. L’idrogeno è un’alternativa, ma arriverà abbastanza presto? L’Italia ha anche l’industria numero uno al mondo per la trasformazione a gas dei veicoli. Per essi sarà inevitabile guardare fuori da Italia ed Europa.

Insieme all’aumento del metano, l’altra tegola è l’aumento del petrolio e di tutte le materie prime. Acciaio, alluminio, rame ma anche magnesio, titanio, litio, terre rare e tutti i materiali coinvolti nella elettrificazione delle auto sono schizzati. Fattori speculativi legati a problemi organizzativi più che ad una carenza vera e propria, ma che mettono sotto pressione i prezzi aumentando l’inflazione e, dunque, sia i listini delle auto sia la disponibilità effettiva di reddito da parte della famiglie. Va da sé che diminuisce la propensione all’acquisto.

L’aumento delle automobili ha avuto un altro effetto: la ricerca dell’usato, soprattutto quello fresco. E proprio nel momento in cui le fonti (i rientri dai noleggi) si stavano prosciugando. E così anche l’auto di seconda mano ha avuto un’impennata. C’è un’opportunità di business, ma anche un tema di riflessione: il rallentamento del rinnovo del parco auto. Qualcuno lo ha già ribattezzato “effetto Cuba” e, nei fatti, vuol dire il consolidamento di due strati di mercato: uno estremamente vischioso e a basso valore ed un altro fluido e ricco.

Ma a spingere verso l’usato c’è stata anche la carenza del nuovo causata, come è noto, dall’arcinota crisi dei semiconduttori che si è iniziata a manifestare a metà del 2020. Fabbriche ferme, ordini inevasi e inevabibili che, insieme alle altre criticità, tagliano di un terzo le vendite in Europa nei primi 10 mesi del 2021. La mancanza di componenti elettronici è il vero covid-19 dell’automobile e il suo vaccino è la riallocazione e l’accorciamento della catena di approvvigionamento che l’Occidente ha demandato in passato a Cina ed Estremo Oriente. Ma è un processo che ha bisogno di tempo: gli esperti parlano di almeno 8-12 mesi.

Anche in questo caso, ci sono fattori speculativi che spingono i fornitori di componenti a produrre quelli a più alto valore aggiunto che sulle automobili sono pochi sui moltissimi presenti (3-5mila per ogni unità prodotta). Ecco perché i costruttori mettono in linea di montaggio i modelli che producono margini elevati e minori emissioni. Ed essendoci poco prodotto, stock e sconti sono ridottissimi. Il risultato? Nonostante i volumi siano in caduta libera e le fabbriche vadano a singhiozzo, i bilanci delle case scintillano di profitto.

Quella dei semiconduttori è stata una tegola del tutto imprevedibile. Ce ne potrebbe essere un’altra dietro l’angolo? Se ne intravvede una sociale. Un’industria più agile e che per fare profitti non è più vincolata ai volumi avrà ragionevolmente meno bisogno di fabbriche e operai mentre le auto diventano più care e meno accessibili. Momenti come questi sono ideali per rendere accettabili ristrutturazioni draconiane.

La crisi – nel senso etimologico di passaggio e transizione, non solo di problema – verso il futuro rischia perciò di essere percepita come un fenomeno voluto da un’elite economica, politica e sociale e vissuta viceversa dall’uomo comune come l’ennesima tegola: un peggioramento della qualità di vita da subire invece che una necessità ed un’opportunità che ci riguarda tutti. Una polarizzazione su questi temi, oltre che inutile e fuorviante, non farebbe il bene di nessuno.